Castello Visconteo – Via E. Gilardelli, 10 – Legnano (MI)
15 Maggio – 11 Luglio 2021
Orari visita: venerdì e sabato 15-19 / domenica e festivi: 10/12,30 – 15/19
Visite guidate gratuite su prenotazione, nei week end ai seguenti recapiti:
T 0331/925575 – segr.cultura@legnano.org
Ingresso libero
Francesco Cito
Parola alle immagini
La mostra, pensata e progettata per questa esposizione, presenta alcuni reportage salienti della professione di fotoreporter di Francesco Cito, in un bianco e nero graffiante che deflagra nella storia, mostrando frammenti di realtà sottaciute che riemergono con la forza del suo stile giornalistico.
Vicende di una attualità disarmante, che ci conducono nel cuore dell’esistenza umana, di cui l’uomo pare non aver afferrato il senso.
Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949.
Interrotti gli studi si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. L’ inizio in campo fotografico 1975, avviene con l’assunzione da parte di un settimanale di musica pop-rock (Radio Guide mag.). Gira l’Inghilterra, fotografando concerti e personaggi della musica leggera. In seguito, divenuto fotografo free-lance, inizia a collaborare con The Sunday Times mag., che gli dedica la prima copertina per il reportage “La Mattanza”. Successivamente collabora anche con L’Observer mag.
Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l’Afghanistan occupato con l’invasione dell’Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue le foto dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.
Nel 1982 – 83, realizza a Napoli un reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. Sempre a Napoli nel 1978 per The Sunday Times mag. aveva realizzato, un reportage sul contrabbando di sigarette dallo interno dell’organizzazione contrabbandiera. Nel 1983 è inviato sul fronte Libanese da Epoca, e segue il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi; i pro siriani del leader Abu Mussa, e Yasser Arafat e i suoi sostenitori. E’ l’unico foto-giornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano. Seguirà le vari fasi della guerra civile libanese, fino al 1989.
Nel 1984 si dedica alle condizioni del popolo palestinese all’interno dei territori occupati della West Bank (Cisgiordania) e la Striscia di Gaza. Seguirà tutte le fasi della prima “Intifada” 1987 – 1993 e la seconda 2000 – 2005. Resta ferito tre volte durante gli scontri. Nel 1994 realizza per il tedesco Stern mag. un reportage sui coloni israeliani oltranzisti. Nell’aprile 2002, è tra i pochi ad entrare nel campo profughi di Jenin, sotto coprifuoco durante l’assedio israeliano, alle città palestinesi.
Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica e ancora clandestinamente a seguito dei “Mujahiddin” per raccontare la ritirata sovietica. Tornerà in quelle aree di nuovo nel 1998 inviato dal settimanale Panorama, con l’intento di incontrare Osama Bin Laden. Intento non andato a buon fine a causa l’inizio dei bombardamenti americani.
Nel 1990, è in Arabia Saudita nella prima “Gulf War” con il primo contingente di Marines americani dopo l’invasione irachena del Kuwait. Seguirà tutto il processo dell’operazione “Desert Storm” e la liberazione del Kuwait 27 – 28 febbraio 1991. Nei suoi viaggi attraverso il Medio Oriente, in più occasioni ha focalizzato il suo interesse a raccontare i vari aspetti dell’Islam dal Pakistan al Marocco, Negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici.
Nel 2000 realizza un reportage sul ” Codice Kanun “, l’antica legge della vendetta di origini medievali nella società albanese.
In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 ed altri rilevanti aspetti della società contemporanea. Dal 1997 l’ obiettivo è anche puntato sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni, lavoro già in parte racchiuso in in foto-libro.
Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l’isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, illustrando la vita e le attività produttive, a seguito della scoperta di ingenti giacimenti petroliferi. Lavoro divenuto una mostra e un foto libro editato in Russia.
Nel 2012 la prestigiosa casa di gioiellieri parigini “Van Cleef & Arpels” gli commissiona la realizzazione di un lavoro fotografico, in cui descrivere l’operosità attraverso le mani dei loro artigiani, nel confezionare i gioielli più esclusivi del mondo. 50 immagini raccolte in un volume stampato in nove lingue.
Ha collaborato e pubblicato sulle maggiori riviste nazionali e straniere:
Bunte / Epoca / l’Europeo / Figaro mag / Frankfurter Allgemeine mag / Illustrazione Italiana / Il Venerdì di Repubblica / The Indipendent / Io Donna / Il Sole 24 Ore mag / L’Express / Life / The Observer mag / Panorama / Paris Match / Sette-Corriere della Sera / Smithsonian mag / Stern / Sunday Times / Traveler / Zeit mag.
Giuliana Traverso
L’eclettismo come stile – Omaggio a un’artista della luce e del linguaggio
Courtesy Fondazione 3M
Una mostra antologica composta da una selezione di fotografie più rappresentative, con la curatela di Fondazione 3M, a documentare l’impegno e il carattere di una fotografa interessata alle idee, all’identità, alla società domestica e al quotidiano tanto quanto al suo mondo di sentimenti interiori. Attenta e determinata nell’affermare il ruolo della donna come protagonista della società, e a sollecitare la coscienza pubblica. Tutte le opere appartengono all’archivio di Fondazione 3M, istituzione culturale permanente di ricerca e formazione e proprietaria di uno storico archivio fotografico di oltre 100 mila immagini.
“Ci sono autori che si specializzano in un genere e risultano così ritrattisti, reporter, paesaggisti, ricercatori – scrive il Professor Roberto Mutti, Curatore fotografico dell’archivio di Fondazione 3M – Giuliana Traverso ha preferito la strada dell’eclettismo: questa è la ragione per cui questa sua antologica indaga sulle più diverse direzioni privilegiando il bianconero ma concedendosi digressioni nel colore, usando un linguaggio classico non privo di qualche audacia, dando altrettanto valore alle persone e ai segni”.
La mostra antologica propone un percorso che muove attraverso i ritratti di personaggi più o meno famosi, indagini su luoghi lontani (come Chicago e la Cina) e vicini come la sua Genova, ricerche sul teatro, per evidenziare l’eclettismo caratteristico di Giuliana Traverso, e che invita a soffermarsi sulla sua capacità di documentazione che va oltre gli accadimenti e il sociale, per comporsi anche in una profonda ricerca introspettiva quanto estetica.
<Con la fotografia si indaga e si interpreta la realtà esteriore, ma ciò che più conta è quello che si scopre di noi stessi – Giuliana Traverso>
“Il percorso qui offerto, dunque, non scorre su una sola linea ma chiede all’osservatore di soffermarsi su diversi temi che appaiono come capitoli di un unico discorso. – continua il Professor Roberto Mutti – L’interesse per le persone che l’ha indotta a dedicare una parte considerevole del suo lavoro ai ritratti di persone famose e non è frutto di un’attenzione rivolta agli altri che si ritrova in una parte importante della sua attività, quella didattica. Con le sue allieve di “Donna fotografa”, il corso tenuto per un periodo lungo addirittura cinquant’anni preceduti da importanti esperienze didattiche, rivolto al solo mondo femminile, Giuliana Traverso ha stabilito un rapporto empatico di grande intensità e il suo eclettismo è stato la chiave di volta per far emergere le potenzialità di tutte, per dare loro consapevolezza (il famoso progetto sull’autoritratto a questo mirava), per lanciare proposte mai costrette in confini troppo netti né espressivi né tanto meno tecnici. È la stessa filosofia che l’ha guidata nel suo cercare sempre qualcosa o qualcuno che valesse la pena di fermare in un fotogramma per farlo diventare un istante di vita”.
Genovese di nascita, Giuliana Traverso ha saputo coniugare la sobrietà e l’educata tolleranza delle sue origini con gli aneliti di libertà e il desiderio di rottura degli schemi tradizionali di fine novecento, di cui è stata testimone ma soprattutto protagonista.
Con il corso “Donna Fotografa” creato nel 1968 ha dato un sostanziale impulso alla creatività femminile, formando negli anni centinaia di professioniste e di fotografe amatoriali. Il corso ha avuto un successo straordinario: dal 1979 è stato istituito anche a Milano ed è a tutt’oggi una pietra miliare e un’isola a sé nell’ormai vasto panorama dei tanti percorsi formativi legati alla fotografia.
Nel 2003 ha deciso di offrire i suoi forti stimoli e le sue “dolci provocazioni” anche all’universo maschile: il corso “il galateo della fotografia” è stato un altro successo.
L’interesse costante riscosso dai suoi corsi l’ha portata a tenere seminari e workshops in Italia e all’estero; restano memorabili le sue presenze ad Arles, Roma, Milano, Torino, Venezia e in molte altre città. Sulla sua attività di insegnante si sono espressi i più importanti quotidiani e periodici di tutto il mondo. Centinaia di mostre in Europa, in America, in Asia, la presenza delle sue opere nelle più importanti collezioni del mondo, quindici volumi dedicati al suo lavoro da diversi editori e una lunga serie di premi e onorificenze testimoniano una carriera di continui consensi di pubblico e di critica. Gli articoli e i servizi che le hanno dedicato le riviste specializzate di fotografia sono innumerevoli e quasi sempre lusinghieri.
Le sue fotografie sono state inserite a Parigi nella Collezione “Cabinet des Estampes de la Bibliothéque National”; nella Collezione Internazionale Polaroid; a Pechino nella “Galleria Arti Estetiche”; Gala di Barcellona “Epicentro”, Centro Culturale Polivalente; nella Fondazione Puebla, in Messico – Universidad Popular e Casa de Cultura; a Bergamo nella “Galleria d’Arte Moderna” a Cinisello Balsamo (Mi) nel Museo della Fotografia contemporanea grazie alla fondazione Lanfranco Colombo.
Vincitrice di numerosi premi e con all’attivo molteplici mostre personali e collettive nazionali e internazionali.
Luca Catalano Gonzaga
Ocean Grabbing
Un progetto inedito, stampato espressamente in fine art, che parla di ambiente, sfruttamento delle risorse naturali e depauperamento, per riflettere, educare e impiegare in modo acuminato la fotografia per raccontare storie.
Si chiama Ocean Grabbing, cioè il sovra-sfruttamento dei mari. Nei fatti, minaccia lo stile di vita, l’identità culturale e l’accesso alle risorse delle comunità che vivono di pesca artigianale. Questa pratica, infatti, concentra la maggior parte dei diritti di pesca nelle mani di poche compagnie, privando quasi tutti i pescatori di piccola scala del diritto di utilizzare la risorsa primaria per la loro sussistenza e mettendo a repentaglio gli stock ittici e la qualità dell’ambiente marino lungo le coste dell’Africa Occidentale. La minaccia emergente è rappresentata dal fatto che il pesce da cui dipendono le popolazioni costiere africane viene sempre più utilizzato non per l’alimentazione umana, ma per essere trasformato in farine e oli di pesce per l’industria mangimistica estera. Sulle spiagge del Senegal e della Mauritania, le donne guardano le piroghe che scaricano il pescato e sono tutt’altro che felici. Le reti sono quasi vuote e si aspettano di peggio quando apriranno nuove fabbriche straniere per convertire il pesce in farina. La situazione si è notevolmente deteriorata da quando le fabbriche Cinesi, Coreane e Russe hanno iniziato a sorgere lungo la costa, producendo farina per l’allevamento ittico e l’allevamento del bestiame in Europa e in Asia. L’ impatto socio-economico è notevole, non solo viene danneggiata un’economia locale fortissima, ma viene anche minata la stessa sicurezza alimentare del luogo se si considera che il pesce rappresenta circa il 70% delle proteine animali consumate dall’intera popolazione Africana. I pesci vengono catturati da coloratissime piroghe di legno che solcano le impetuose onde dell’Atlantico. Una volta riempita la barca di pescato, le piroghe tornano a riva. Le imbarcazioni ormeggiano alla fonda, poco lontane dalle rive della spiaggia che brulica di persone. Inizia così una lenta processione di uomini che, indossando una cerata, si immergono nelle acque, arrivano fino alle sponde delle barche dove ricevono una cassa di pesce e poi, tenendola sulla testa, ritornano a riva per portare il pesce a destinazione. Alcune casse vengono scaricate direttamente sulla sabbia mentre altre sono portate al mercato, qualche decina di metri più indietro. I diversi cumuli di pesce sono smistati in base alla barca di provenienza e al tipo; i compratori si affollano attorno ad ogni pigna, scelgono il pesce da acquistare e altri uomini si occupano del carico sui camion. Le ceste di pescato selezionato, coperte di ghiaccio e caricate sui camion frigoriferi, iniziano così il loro viaggio verso le fabbriche di lavorazione per la trasformazione in farina di pesce destinata ai mercati Internazionali di mangime.
Luca Catalano Gonzaga nasce a Roma il 16 febbraio 1965. Segue gli studi classici e dopo essersi laureato in Economia e Commercio nella capitale, inizia a lavorare nel campo del marketing e della comunicazione per diverse aziende nazionali ed internazionali. Nel 2008 diventa fotografo professionista, occupandosi principalmente di foto-giornalismo a livello internazionale, in particolare in aree fortemente periferiche o di confine. Fondatore di Witness Image, www.witnessimage.com un ente no-profit nato nel 2010 il cui scopo è quello di realizzare una serie di progetti fotografici che raccontino il diritto e l’autodeterminazione dei popoli e testimonino le grandi trasformazioni del nostro tempo. I servizi fotografici realizzati hanno ricevuto numerosi premi internazionali e le opere fotografiche sono state pubblicate dai più importanti media del mondo. In dieci anni di attività ha realizzato più di 50 reportage fotografici e visitato più di 30 paesi in tutto il mondo.
Arianne Clemènt
L’arte di invecchiare
La bellezza e la sensualità delle donne dai 70 anni in su
Con questa serie di foto, in cui leggerezza e profondità si fondono con provocazione e innegabile piacere, Arianne Clément vuole dimostrare che la sensualità del corpo umano non ha età. La sua ricerca nel progetto “l’arte dell’invecchiamento” è simile alla fotografia boudoir (le foto boudoir sono foto scattate in un ambiente naturale generalmente in una camera da letto o in un soggiorno per rappresentare le donne nel loro mondo, al fine di rendere e far emergere la propria femminilità e sensualità attraverso le loro emozioni). Arianne Clément indaga il corpo umano e il suo grande potenziale di espressione emotiva, questo dà agli scatti molta forza che dimostra che la bellezza non è riservata solo ai giovani ma che si possono scattare foto sexy a qualsiasi età. Ad oggi, i protagonisti che hanno osato sperimentare la foto di nudo con lei non se ne sono pentiti. Marie Berthe Paquette, ad esempio, è stata fotografata all’età di 102 anni in lingerie e ha amato, grazie allo sguardo benevolo di Arianne Clément, le sue foto perché uniscono tenerezza e sensualità. Il progetto tratta della sensualità nelle donne dai 70 ai 102 anni. Durante i suoi incontri con una dozzina di centenari, Arianne indaga gli sforzi che queste donne fanno o non fanno per apparire belle e alle sfide che affrontano quotidianamente. Attraverso queste donne, Arianne cerca di mettere in discussione il rapporto che la società ha con la bellezza e i suoi criteri, nonché la sua ossessione per l’aspetto fisico. Arianne vuole anche dare voce e mettere in evidenza queste donne la cui bellezza viene raramente proposta.
Arianne Clément è stata giornalista per il Québécoise, qui ha iniziato a praticare la fotografia, questa esperienza l’ha spinta a fare un master in fotogiornalismo all’Università delle Arti di Londra, conseguendo una menzione d’onore. Durante i suoi numerosi viaggi all’estero, ha sviluppato uno stile fotografico che incontra l’arte e la documentazione. Dall’estremo nord alla costa occidentale, dall’Amazzonia all’Europa orientale, dall’Argentina all’Irlanda, i suoi soggetti preferiti sono rimasti gli stessi: l’oblio, l’escluso, l’emarginato. Attratta dalle trame granulose, grezze e grossolane, è sempre alla ricerca di forti contrasti: contrasti di trame e luci, contrasti tra passato e presente ma, soprattutto, contrasti tra ciò che è attraente e ciò che è proibitivo, serenità e afflizione, la bellezza della vita e la sua spietata crudeltà. Per diversi anni, Arianne è stata interessata alle persone “invisibili” della sua stessa comunità. Dedica la sua fotografia quasi esclusivamente agli anziani; il suo approccio e la competenza che ha sviluppato conferiscono al suo lavoro profondità e autenticità senza pari. È con le sue immagini di anziani che ha recentemente partecipato a numerose mostre e vinto numerosi premi, premi e onorificenze.
Giorgio Bianchi
Storie di Donbass – Alina
Nonostante le interruzioni di corrente, la chiusura di tutte le attività commerciali, il coprifuoco e i bombardamenti quasi quotidiani, i residenti della città di Donetsk, controllata dai ribelli, si riversano al Teatro dell’Opera e del Balletto nel fine settimana in cerca di tregua dalla realtà della vita all’interno di una zona di battaglia. Quando scoppiò la guerra, circa un terzo degli artisti del teatro fuggì, compresi i cantanti chiave e tutti e quattro i suoi direttori. Un’ulteriore battuta d’arresto si è verificata quando un missile ribelle ha distrutto il magazzino dove erano conservate la maggior parte delle scenografie. Il teatro dell’opera è stato costretto a chiudere nel luglio 2015 a causa di pesanti scontri, poi ha assunto nuovo personale ed è stato nuovamente operativo nel settembre successivo. Nonostante le ostilità in corso e le circostanze difficili, il numero di spettatori del teatro da 960 posti è stato impressionante sin dalla sua riapertura. Nel guardaroba al piano terra, giacche mimetiche militari sono appese tra pellicce e soprabiti civili. Alina è una ballerina professionista di Donetsk e membro del coro del Donbass Opera and Ballet Theatre. Studia all’Accademia di teatro da quando era ragazzina e per tutto il periodo della guerra ha continuato a ballare, convinta che mantenere in vita gli spettacoli fosse uno dei pochi modi per assicurarsi che gli abitanti della sua città non pensassero agli orrori di guerra, anche se solo per poche ore. Il ritmo della vita di Alina segue gli orari del teatro: dal martedì al venerdì ha lezioni di balletto e prove, sabato e domenica gli spettacoli; Il lunedì è l’unico giorno libero che gli artisti hanno e lei va a trovare i nonni materni con cui è molto legata, oppure incontra le sue amiche di balletto per fare una passeggiata in città o andare in discoteca.
Giorgio Bianchi è un fotoreporter, fotografo documentarista e filmmaker italiano nato nel 1973.
Nella sua fotografia Giorgio ha sempre prestato particolare attenzione alle questioni politiche e antropologiche, e ha intrapreso una carriera da freelance per concentrarsi su una combinazione di progetti personali a lungo termine e incarichi di clienti. Ha coperto storie in Siria, Ucraina, Burkina Faso, Vietnam, Myanmar, Nepal, India e in tutta Europa. Dal 2013 ha effettuato diversi viaggi in Ucraina, dove ha seguito da vicino la crisi ucraina dalle proteste di Euromaidan fino allo scoppio della guerra tra l’esercito governativo ei separatisti filo-russi. Grazie al suo ricco archivio di filmati e immagini sul conflitto nel Donbass sta realizzando un docufilm intitolato “Apocalypse Donbass”.
Nel 2016 ha iniziato a coprire il conflitto siriano.
Giorgio ha vinto numerosi premi internazionali e ha ricevuto numerosi riconoscimenti di pubblico, e le sue immagini sono regolarmente pubblicate su giornali e riviste, sia cartacee che online. Il suo lavoro è stato esposto in molti festival internazionali e nazionali. Giorgio Bianchi è attualmente rappresentato da Witness Image.
Mostre principali: Festival of Ethical Photography 2017 (Lodi), Strand Gallery (Londra), Royal Geographical Society (Londra), MIBAC (Roma), AFI Archivio Fotografico Italiano Palazzo Cicogna (Varese), La Fabbrica del Vapore (Milano), C40 Mayors Summit (Città del Messico), foto Pechino 2017.
Pubblicazioni principali: Guardian Magazine, National Geographic, Internazionale Magazine, Sette Magazine Corriere della Sera, Il Venerdì, Il Giornale, La Stampa, La Repubblica, Il Manifesto, Gente di Fotografia Magazine, Fotografia Reflex Magazine e in molte gallerie online.
I premi includono: Best New Talent al concorso PX3 2014, vincitore assoluto al Terry O ‘Neill Award 2014, Discovery of the year al Monochrome Award 2014, vincitore al Lugano Photo Days 2015, finalista al 2014, 2015, 2016 Manuel Rivera-Ortiz Foundation for Documentary Photography & Film Grant, vincitore all’Umbria World Fest 016, selezionato per il Prix Pictet 2015, Top Finalist al Visura Photojournalism Grant 2016, finalista ai LensCulture Exposure Awards / 17, finalista ai DIG Awards 2017 (pitch session) con il docufilm Apocalypse Donbass, vincitore del World Report Award 2017 (Spot Light Award), finalista al 75 ° POYi, fotografo editoriale dell’anno ai Moscow International Foto Awards 2018.
Albertina D’Urso
Are you ready, Puerto Rico?
L’isola di Porto Rico, territorio non incorporato degli Usa, devastata due anni fa dall’uragano Maria, stava già attraversando una profonda recessione da oltre dieci anni. Lo Stato aveva dichiarato bancarotta ben prima della catastrofe, il tasso di disoccupazione è superiore al 12 per cento, più del doppio rispetto alla media statunitense, 30 per cento tra i giovani, il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà ed è afflitta da problemi di violenza, criminalità e narcotraffico. Più della metà dei Portoricani si è inoltre già trasferita negli Stati Uniti, soprattutto a New York, alla ricerca di un lavoro.
Eppure non si respira un clima apocalittico. Sarà forse per l’anima latina dei Portoricani, ma anche perché nel piccolo paese caraibico tira un vento di cambiamento.
Da tempo, infatti, Porto Rico ambisce ad uscire dalla paralisi politica in cui si trova. Colonia spagnola per quattro secoli, è stata ceduta agli Stati Uniti nel 1898 e 19 anni dopo i suoi abitanti hanno ottenuto la cittadinanza americana. Ma in forma limitata: i residenti, infatti, pagano, oltre alle tasse locali, Social Security (previdenza sociale) e Medicare (assicurazione medica), e migliaia hanno servito le Forze Armate Statunitensi, ma non possono votare nelle elezioni presidenziali, non hanno rappresentanti a Washington DC e ricevono meno fondi federali rispetto agli stati USA.
Porto Rico ha già tenuto cinque referendum consultivi sulla questione dello status. Nel 1967, nel 1993 e nel 1998 gli elettori si espressero per non cambiare la propria situazione. Nel quarto, tenutosi nel 2012, prevalse per la prima volta l’adesione agli Stati Uniti, tuttavia non essendoci stata una chiara maggioranza non portò ad alcun cambiamento. L’ultimo referendum è avvenuto l’11 Giugno 2017 ed è stato un vero e proprio plebiscito: il 97% ha votato per diventare parte degli USA.
La strada verso l’annessione è tuttavia lunga e tortuosa. L’ultima parola spetta al Congresso e l’amministrazione Trump non sta certo spalancando le porte. il primo ostacolo è il debito pubblico che l’ isola si porterebbe dietro. Il secondo riguarda invece il suo schieramento: l’ex colonia spagnola è, infatti, un feudo democratico.
Se e quando Porto Rico diventerà la cinquantunesima stella della bandiera americana non è quindi più una decisione che dipende dagli abitanti dell’isola, i quali però sono già proiettati verso questo grande passo, visto per lo più come un’opportunità per uscire dall’attuale limbo e avere finalmente uguaglianza con i cittadini statunitensi, di cui sono parte, ma da cui si sono sempre sentiti discriminati.
Albertina d’Urso si dedica da anni a reportage sociali e umanitari in giro per il mondo. Ha vinto diversi premi tra cui Premio Canon Giovani Fotografi, Lens Culture International Exposure Award, Julia Margaret Cameron Award, International Photography Awards.
Ha esposto in tutto il mondo tra cui al New York Photo Festival, Festival della Fotografia Etica, Angkor Photo Festival, Berlin Foto Biennale, Forma Centro Internazionale di Fotografia a Milan, Insa Art Center a Seoul, Speos Gallery a Paris, VII Gallery a New York,e al Parlamento Europeo a Bruxelles.
Ha pubblicato quattro libri: Bombayslum – Skirà – 2004, Life Zoom – Skirà – 2006 – Ti Moun yo, Children of Haiti – Contrasto – 2009 Out of Tibet – Dewi Lewis Publishing – 2016
Il suo lavoro è pubblicato regolarmente su riviste come Vanity Fair, Marie Claire, Panorama, L’Espresso, Photo, Vision…
I lavori e le news si possono vedere sul sito: www.albertinadurso.com